La Perottina che incantò il mondo
Il telo bianco scivola a terra, i faretti si accendono, il brusio della fiera si scioglie in un silenzio curioso. Davanti ai giornalisti del Business Equipment Manufacturers Association Show ritroviamo un oggetto color crema, grande quanto una macchina da scrivere elettrica. Un ingegnere italiano preme un tasto; la stampante interna fruscia e sputa una striscia di carta termica: «2 × 2 = 4». In quell’istante prende forma il concetto di personal computer. Quell’oggetto si chiama Programma 101, ma i cronisti lo ribattezzano subito Perottina. Pochi sanno che la scintilla s’era accesa tre anni prima a Ivrea, tra mattoni rossi e ideali industriali utopici. Questa è la sua storia.
La storia (quasi dimenticata) del primo personal computer
«Chi non sogna un giorno di tenere un computer sulla scrivania?»
— Giorgio Perotto, taccuino di laboratorio, Ivrea 1963
Ivrea: dove il mattone diventa silicio
All’ombra delle Alpi piemontesi, la Olivetti di Adriano non è soltanto un’industria: è un laboratorio sociale dove architetti, sociologi e tecnici condividono la mensa e le idee. «La fabbrica non può guardare soltanto all’indice dei profitti», amava ripetere il padrone‐filosofo. Quando Adriano muore nel 1960, molti temono che quell’utopia si spenga. Invece, nel cuore dei laboratori di ricerca pulsa un sogno nuovo: un calcolatore “grande quanto una valigetta” capace di servire uffici e professionisti. A guidare il progetto è chiamato Giorgio Perotto, ingegnere torinese di poche parole e molta testardaggine.
I quattro moschettieri e il laboratorio segreto
Perotto raduna tre giovani colleghi — Giovanni De Sandre, Gastone Garziera e Giuseppe Gorno — e li nasconde in un angolo del Centro Studi. Di notte smontano calcolatrici meccaniche, saldano transistor Texas Instruments e testano granuli di ferrite a un bit. Nascono così la memoria a nuclei magnetici riscrivibile dall’utente, un alimentatore switching compatto e quella stampante termica che trasforma il calcolo in carta immediata. L’obiettivo è folle: racchiudere la potenza di un mainframe in trentacinque chilogrammi di plastica e metallo. Il loro mantra è semplice: se non esiste, inventiamolo.
Anatomia di un miracolo di plastica
Dentro la scocca color panna, disegnata da Mario Bellini con curve che rassicurano più che intimorire, pulsa un cuore di 240 byte in nuclei magnetici. Il registro magnetico, vero precursore del floppy, accoglie piccole cartucce che l’utente infila e sfila con la stessa naturalezza di un nastro per la Lettera 22. La tastiera QWERTY parla in sigle: premere A vuol dire addizione, S sottrazione, M moltiplicazione, D divisione. Seguono quindici istruzioni in tutto, comprensibili anche a un ragioniere: basta concatenarle perché la Perottina calcoli ammortamenti o ratei in pochi secondi. E la stampante termica, capace di trenta caratteri al minuto, racconta subito la risposta.
Dalla Luna alle buste paga: la conquista del mondo
Nell’estate del 1966 la NASA invia un ordine a Ivrea: dieci Programma 101 per il centro di Houston. Serviranno a rifinire le traiettorie di rientro dell’Apollo, prendendo il posto di pile di regoli calcolatori. Nei corridoi dell’Archivio Storico Olivetti si conserva ancora la lettera firmata Thomas H. Gordon: «una P‑101 ci fa risparmiare venti ore di calcoli a settimana». Anche le banche svizzere e gli ospedali britannici se ne innamorano: è robusta, non teme sbalzi di tensione e sta su una scrivania qualunque. Entro il 1971, annuncerà il New York Times, ne circolano più di quarantamila esemplari.
Eredità: il futuro in 240 byte
Quando IBM svelerà il PC nel 1981 e Apple mostrerà il Macintosh tre anni dopo, il marketing parlerà di rivoluzione. A Ivrea, invece, quella rivoluzione era routine da quasi vent’anni. La Perottina dimostrò che miniaturizzare non significa solo restringere l’hardware, ma rendere umano l’incontro con la macchina. Lo capiranno i creatori di Arduino, nati pochi chilometri più in là, che ancora oggi citano la P‑101 come antenata spirituale. Come racconta il Museo Tecnologic@ Ivrea nelle sue sale, il vero lascito di Perotto è l’idea che l’interfaccia conti quanto la logica dei circuiti.
Conclusione – Un sogno italiano che parla ancora al domani
In un angolo di Piemonte, quattro ragazzi immaginarono un futuro in cui ogni scrivania avrebbe avuto un computer. Lo realizzarono con 240 byte di memoria e la cocciuta eleganza di chi non conosce la parola impossibile. Oggi che discutiamo di intelligenza artificiale e calcolo quantistico, val la pena ricordare quella macchina color crema: aveva il corpo di plastica, ma dentro batteva un cuore pensato per le persone.
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